Banco Del Mutuo Soccorso (1972)

banco del mutuo soccorso 1972Siamo alla fine del 1968: unl giovane tastierista di Marino (RM) Vittorio Nocenzi ottiene un'audizione presso la RCA, grazie all'intercessione della popolare cantante Gabriella Ferri con la quale aveva già collaborato in precedenza.

Non vuole presentarsi da solo però. 

Per via della nota ostilità delle discografiche ad accogliere cantanti solisti, fa credere alla major di essere il leader di una grande e consolidata band.
"Bene, presentati col tuo gruppo, allora!", gli viene detto.
Il gruppo però esiste solo nella testa di Nocenzi e, per non far saltare il provino, il diciassettene tastierista assembla una formazione qualsiasi, con l'aiuto di amici e parenti.

All'appello si presentano il fratello Gianni,
il bassista Fabrizio Falco, il batterista Mario Achilli - già insieme a Vittorio nei Crash -, e Gianfranco Colletta dei disciolti Chetro & Co.La formazione prende il nome di "Banco del mutuo soccorso" (probabilmente per evocare questa iniziale campagna di solidarietà)
Il provino va a buon fine, e il quintetto comincia a lavorare, producendo una cospicua dose di materiale e incidendo tre brani nella musicassetta "Sound '70".

Dopo diversi assestamenti, in cui ruotano intorno al nucleo dei Nocenzi anche anche Claudio Falco (fratello di Fabrizio), Franco Pontecorvi e - si dice - Leonardo Sasso (futuro Locanda delle Fate), il gruppo partecipa al secondo Festival Pop di Caracalla nel 1971, reclutando infine gli
ex "Esperienze" Francesco Di Giacomo, Renato D'Angelo, Pierluigi Calderoni e il chitarrista dei Fiori di Campo Marcello Todaro, e definendo così la sua formazione storica. 
 

banco del mutuo soccorso salvadanaio 1972Risolti i rapporti con la RCA, il gruppo migra a Milano dove comincia a farsi notare "nel giro", calcando tra l'altro i palcoscenici dello storico locale "Carta Vetrata" (Bollate) e del "Nautilus" di Cardano al Campo.

Notati dal produttore Sergio Colombini che li porterà alla Ricordi, il sestetto inizia così una nuova avventura discografica, che inizia nella primavera del '72 con un capolavoro del Prog Italiano: "Banco del mutuo soccorso", album noto anche come "salvadanaio" per via della sofisticatissima copertina fustellata su un disegno di Mimmo Melino.

Musicalmente il disco è straordinario tanto che "In Volo" sembra essere una delle migliori delle possibili opening tracks della storia del progressivo italiano: una sorta di breve respiro psichedelico, misto a sottili avvisaglie prog che troveranno conferma sin già dal brano successivo. Insomma: "Ciò che si vede, è!".

In "R.i.P." poi,  l'impostazione del sound del BMS si rivela in tutta la sua maestosità e poesia: superbe galoppate ritmiche supportano una vocalità limpida e decisa, che esalta chiaramente ogni raffinatezza dei testi, incentrati sugli orrori della guerra.

banco del mutuo soccorso 04Ogni strumento prende posto nello spettro sonoro senza alcuna prevalenza, e questo, malgrado il potenziale ingombro timbrico delle doppie tastiere. 
I virtuosismi personali sono relativamente limitati e conferiscono al lavoro un groove solido e omogeneo.

La voce di voce di "Big" Di Giacomo arriva e si ritrae come un'onda alternando momenti di calibrata prepotenza a dinamiche più sottili.
Per esempio, nel brevissimo "Intermezzo", questa sembra affievolirsi in un momentaneo commiato, ma si fa desiderare nelle vulcaniche parti strumentali di "Metamorfosi": vero e proprio pezzo di bravura del gruppo.

Largamente impostato su sonorità rock, "Metamorfosi" è una magistrale dimostrazione di equilibrio e abilità in cui il "Banco" attesta sia la sua completa indipendenza da schemi precostituiti di stampo anglosassone, sia la sua capacità di sfruttare al meglio la sua peculiarità di "primo gruppo mediterraneo a due tastiere complementari".
Il resto, è una ritmica selvaggia su cui si appoggiano all'occorrenza i contrappunti e le varie sonorità delle chitarre di Todaro.



francesco di giacomoIn "Metamorfosi", si badi bene, non c'è barocchismo esasperato: rock, psichedelia e citazioni classiche si mescolano in un kernel saldo e inamovibile. E solo dopo 8 lunghi minuti torna la voce ad introdurre, in un potente finale, quella che sarà la suite memorabile del disco: la chilometrica "Il giardino del mago" (18 minuti e mezzo).

Nel "Giardino", la band sperimenta tutte le sue potenzialità narrative sviluppando con equilibrio diverse varianti sinfoniche del tema principale. Nel rifiuto di qualsiasi ovvietà melodica, momenti molto tesi e soavi si alternano a movimenti di rock sinfonico alternati con breaks dal vago sapore psichedelico, classico o addirittura spaziale.
Il finale del brano, è un rock progressivo puro che sfocia nel brano conclusivo "Traccia": giusta sintesi di barocco, rock duro e radicale mediterraneità.

Più aggressivo della PFM, il Banco del Mutuo Soccorso offre con questo suo primo lavoro un biglietto da visita difficilmente ignorabile, se non altro per la sua mirabile sintesi di stili precostituiti e inventiva propria
Acclamato da ogni frangia dell'underground, raggiungerà vette commerciali notevoli e spianerà una luminosa carriera al gruppo.

Dovendo trovarvi dei difetti, si rimane veramente in difficoltà. Forse l'eccessiva tendenza ad esasperare o "dinamizzare" certi passaggi potrebbe essere motivo di critica, esattamente così come l'aulicità dei testi, ma sono quisquilie.
L'album del "salvadanaio" è semplicemente perfetto.


BANCO DELMUTUO SOCCORSO - Discografia 1972 - 1978:
1972: BANCO DELMUTUO SOCCORSO
1972: DARWIN
1973: IO SONO NATO LIBERO
1975: BANCO (english)
1976: GAROFANO ROSSO
1976: COME IN UN'ULTIMA CENA
1978: DI TERRA

I Pooh: Parsifal (1973)

pooh parsifal 1973

Diventato ormai un quartetto transregionale e quasi senza più traccia dei componenti originali, il gruppo d'oro della musica Italiana è nel 1973 una band di successo con cinque albums all'attivo e una nutrita serie di hits alle spalle.

Non particolarmente amati dai movimenti underground e controculturale per la loro melodicità adolescenziale e la loro presunta collocazione politica di destra, i Pooh vogliono comunque dimostrare di essere al passo coi tempi pubblicando un nuovo Lp molto più omogeneo dei precedenti e soprattutto a forte spessore sinfonico.

Nasce così sotto l’egida del produttore Giancarlo Lucariello un progetto imponente che vedrà il gruppo affiancato da un’orchestra di ben 40 elementi diretta dal maestro Giancarlo Monaldi.
Gli studi di registrazione sono gli storici “Idea Recording” di Via Moretto da Brescia in zona Città Studi a Milano, punta di diamante della CGD e alla cui consolle operano i tecnici Gualtiero Berlinghini e Franco Santamaria.
Una sfarzosità notevole, insomma, che coinvolgerà anche copertina del disco, tratta da una locandina della Scala di Milano e sul cui retro compare il gruppo in abiti di scena originali, noleggiati sempre dal Teatro alla Scala e ritratto nel mese di giugno in una casa diroccata ad Erba in provincia di Como.
 

Il disco si chiamerà “Parsifal”, verrà pubblicato il 31.8.1973 e annovererà otto brani a matrice melodica (di cui almeno due diventeranno dei grossi successi a 45 giri), nonché di una lunga suite finale di 10 minuti ispirata proprio al celebre dramma sacro di Wagner, sospeso tra eroismo, religiosità e misticismo.

i pooh giugno 1973
 Quest'ultima traccia, solleva un caso a sé nella storia della musica Pop Italiana venendo considerata non solo una delle vette artistiche del gruppo, ma anche dell'intero mainstream nazionale. Per questo, da ora in poi, concentreremo le nostre attenzioni soltanto su questo brano.

Lungi dall'essere considerata rock progressivo e non inscrivibile nemmeno per un attimo nel panorama alternativo dell'epoca, Parsifal era tuttavia una composizione talmente bene articolata che col tempo non mancò di incuriosire anche molti fan del Prog

In effetti, anche senza averla ascoltata, non si poteva non notarne la sua lunghezza, anomala rispetto al resto delle canzoni dell'album, i testi fiabeschi dal tono leggendario e la sua struttura costituita da due movimenti concatenati, vocale il primo e strumentale il secondo, cosa piuttosto comune a molti lavori prog del periodo (es: “La prima goccia bagna il viso” dei New Trolls)

Frutto della fusione tra una colonna sonora commissionata a Facchinetti e realizzata poi da Morricone ("Questa specie d'amore") , la title track dell'album "Contrasto" e da un brano inedito ("Un maiale per Ringo"), Parsifal è da considerarsi un vero gioiello di pop sinfonico all’italiana, sviluppato una su solida partitura orchestrale, estremamente ben arrangiato e realizzato con ogni dovizia tecnologica.
Nondimeno, un opera che certificò definitivamente la maturazione artistica dei due compositori, Negrini e Facchinetti.

Non meno incisiva fu specialmente la performance del chitarrista Dodi Battaglia, il cui assolo riprende quello di Mario Goretti in "Contrasto": il brano tratto dall'omonimo album "fantasma" dei Pooh del 1968, dai cui ultimi due minuti venne - come dicevamo - parzialmente tratta l’ossatura della seconda parte della title track.

Pur lontanissima dai gusti del movimento, la mini-suite dei Pooh fu stranamente una delle poche produzioni di una multinazionale (la CBS) a sopravvivere ai conflitti di classe: da un lato tenendosene opportunamente lontana e dall'altro conquistandosi per così dire l'indifferenza dei critici più radicali che, pur snobbandone il valore, non la sottoposero mai a contestazioni, men che meno violente.
Fatto questo, che dimostra come i Pooh e le avanguardie movimentiste viaggiassero su binari divergenti, distanti e nella più totale indifferenza reciproca.

GRAZIE AL SITO WWW. MICHAELA.IT PER LE PREZIOSE INFORMAZIONI

Rovescio Della Medaglia: Io come io (1972)

rovescio della medaglia io come io 1972 Se il primo lavoro "La Bibbia" fu un esordio davvero scioccante e il terzo album "Contaminazione" rivelò il lato più tecnico del gruppo, il secondo disco del Rovescio della medaglia, "Io come io", si colloca esattamente nel mezzo sia come tempistica, sia come percorso di evoluzione musicale.

Pubblicato nel 1972, l'album viene prodottto dalla RCA in maniera faraonica: tre diverse edizioni, copertina forata, inserto centrale con i testi e, limitatamente alle prime copie, un medaglione di bronzo in omaggio, firmato personalmente dall'artista fiorentino Brandimarte.

Il tutto, per neppure 30 minuti di musica: cosa che rende questo Lp uno tra più brevi della storia del Prog .


In tutte le release, la copertina cartonata apribile che contiene testi, note, tracking list e foto, è dominata da toni molto scuri giocati sul nero e sul rosso, lasciando già presagire il suono sanguigno dell'album.

rovescio della medaglia 2Con tutte le liriche ispirate all'opera del filosofo Hegel ed alla "ricerca del sè in un mondo pieno di contraddizioni", "Io come io" si compone di quattro parti principali (di cui quelle pari sono divise in altrettanti movimenti), in cui il quartetto romano da finalmente sfoggio di quella autorevolezza tecnica che nel precedente "La Bibbia" era rimasta un po' ovattata.

Pur non essendo dichiaratamente un concept-album , il disco è chiaramente strutturato con una sua logica lirica e strumentale con le parti più dinamiche collocate in testa e in coda, e quelle più "tecniche" concentrate nei solchi mediani.

Il suono, pur se ruvido, graffiante e avulso da qualsiasi compromesso con il mainstream, risulta straordinariamente limpido e cesellato, esaltando così la dinamica di ciascuno strumento.
L'effettistica è praticamente assente e restituisce un groove compatto e privo di orpelli, al punto di evocare gli straordinari lavori heavy dei primi Black Sabbath.

rovescio della medaglia 3Tuttavia, quanto detto sinora risulterà lampante solo passando alla fase di auditing.
Si comincia con i sei minuti e mezzo di "Io", una micro-suite introdotta da un secco colpo di gong e da un riff portante di chitarra che viene via via ripreso da un basso più asciutto che mai.
Passati due minuti di "call and answer" tra basso e chitarra, fa il suo ingresso la maestosa voce del cantante Pino Ballarini che impone al brano un'ulteriore sferzata timbrica conducendolo nella sua parte più free: breve ma intensissima.

Seguono una ripresa del tema iniziale e il corale della prima parte di "Fenomeno" che, oltre a chiudere "Io", introduce la seconda parte del del lato A.
Si entra così nella magia di "Rappresentazione" il cui svolgimento lascia frastornati per la sua straordinaria varietà di ambienti: c'è tutta la forza dell'hard-rock (questa volta molto più "complessificata" del brano precedente) e nondimeno, numerose parentesi acustiche e vocali che conferiscono al brano un'invidiabile agilità sonora.
rovescio della medaglia 4Questa piacevole diversificazione che sembra anticipare il successivo "Contaminazione", prosegue anche nella seconda facciata con "Non io", che evoca inizialmente toni gotici e "silvestri".

Qui, un delicato arpeggio di chitarra contrappuntato dal flauto, introduce una delle parti vocali più melodiche che Ballarini abbia mai cantato.

La sua violenta chiusura e il ponte successivo ("Io come io / Divenire") però, non lascia dubbi su quello che sarà un potente finale in stile heavy. Aggressivi e violenti, i sei minuti e mezzo di "Io come io / Logica" chiudono il disco in un tripudio strumentale che ci rende spettatori del miglior "Rovescio" che di sia mai sentito sinora e,
a questo punto, ci vuole poco per stabilire che "Io come io" è da collocarsi tra le migliori prove del gruppo.

Certamente "Contaminazione" fu musicalmente più strutturato e "La Bibbia" era molto più spontaneo ma, a mio avviso, in questo album la band raggiunse un perfetto equilibrio tra tecnica e ambizione (o se vogliamo, tra "pathos" e "rigore"), asservendo le proprie potenzialità ad un lavoro processualmente adamantino e perfettamente calzante allo spirito del gruppo.

Ovvio, i detrattori potranno trovarvi di tutto per svilirlo perché in fondo il Rovescio non erano i Led Zeppelin e nemmenogli Atomic Rooster ma, almeno in questo caso, l'onestà non va messa in discussione.

Il miglior brano del Prog italiano anni 70
Ha vinto: Impressioni di Settembre

QUESTO SONDAGGIO É STATO PUBBLICATO PER LA PRIMA VOLTA NEL GENNAIO 2012. PIÚ DI 13 ANNI FA.
VEDIAMO SE LA PENSATE ANCORA NELLO STESSO MODO...


italian progressive rockNon deve essere stato facile per nessuno astrarre solo cinque brani da un totale di circa due migliaia, eppure, il sondaggio sul miglior brano del prog italiano anni 70 ha avuto un riscontro davvero eccezionale.

La mole dei votanti è stata vasta, articolata e mista, 175 i brani scelti e alla fine ne è uscito un quadro molto interessante in cui tutte le sfaccettature di una musica così complessa hanno trovato un loro senso.

Diciamo subito che ha stravinto un monolite come “Impressioni di Settembre” della Premiata Forneria Marconi con lo 6,14% delle preferenze, e questo potrebbe risultare un dato sin banale trattandosi di uno dei brani più rappresentativi del nostro prog in Italia e all’estero.
Eppure, esattamente come accadde 40 anni fa nei circuiti della controcultura, per un solo brano “classico” che conquistava il cuore delle masse, ce n’erano almeno altrettanti che si facevano largo a scala locale o sotterranea.

E così, se dal secondo al quarto posto, arrivano i brani più progressivi del Banco (“Canto Nomade” II° col 4,45% e “Il giardino del mago” IV° con il 3,82%) e della Premiata (“La carrozza di Hans” al III° posto - 3,91%), tra la quinta e la sesta posizione svettano almeno due gioielli del prog italiano più radicale come “Introduzione/Primo Incontro” del Balletto di Bronzo (V° col 3,29%) e la suite "Zarathustra" del Museo Rosenbach (VII° col 2,84%).

Dal canto loro, Le Orme piazzano appena tre brani nella top 30, ma tutti di enorme qualità: “Sguardo verso il cielo” in sesta posizione, “Sospesi nell'incredibile” in undicesima e “La porta chiusa” in ventisettesima. Segno evidente che i lettori di Classic Rock sanno distinguere il prog dalla socialdemocrazia musicale, accantonando i vari "collages" e "giochi di bimba".

Meno coraggio invece
è stato dimostrato con gli Area di cui sono stati prediletti due classici come “Luglio agosto settembre nero” e la “Mela di Odessa”, relegando il lato più aggressivo della band appena al 34° posto con “Consapevolezza”.
Stesso discorso per gli Osanna laddove “Canzona” e “L’Uomo” sono state preferite alle più ruvide “Oro Caldo” e "Animale senza respiro".

Chiudono infine il discorso dell’”alternanza” almeno 5 gruppi minori (Alphataurus, Quella Vecchia Locanda, Pholas Dactylus, Locanda delle Fate, Biglietto per l’Inferno) un tempo considerati davvero marginali, ma fortunatamente recuperati da un lungo lavoro d’archivio di cui anche Classic Rock è stato protagonista.

Ecco dunque la Top 50 completa, estesa a 58 titoli a causa della lunga serie di ex equo che hanno condiviso il 34° posto. Per inciso, tutti quei piazzati a pari merito sono citati in ordine alfabetico.
I rimanenti 117 brani, condividono una percentuale totale di circa il 33,18%.

Come sempre, un grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato a questo sondaggio e... a risentirci al prossimo.

JJ John


Il miglior brano del Progressive Italiano anni '70 - Top 50

1 Impressioni di settembre - PFM 6,14 %
2 Canto nomade per un prigioniero politico - Banco 4,45
3 La carrozza di Hans - PFM 3,91
4 Il giardino del Mago - Banco 3,82
5 Introduzione / Primo Incontro - Balletto di Bronzo 3,29
6 Sguardo verso il cielo - Le Orme 3,20
7 Zarathustra - Museo Rosenbach 2,94
8 R.I.P. - Banco del Mutuo Soccorso 2,85
9 Canzona - Osanna 2,49
10 Luglio agosto settembre nero - Area 2,13
11 Sospesi nell'incredibile - Le Orme 2,05
12 Arbeit macht frei - Area 1,78
13 Appena un po' - PFM 1,69
14 La mente vola - Alphataurus 1,29
15 La città sottile - Banco 1,25
16 750.000 anni fa l'amore - Banco 1,20
17 La mela di Odessa - Area 1,11
18 Vorrei incontrarti - Alan Sorrenti 1,07
19 Realtà - Quella vecchia locanda 0,98
20 L'evoluzione - Banco 0,93

L'uomo - Osanna 0,93
21 A volte un istante di quiete - Locanda delle fate 0,89
22 A land to live a land to die - New Trolls 0,85

Concerto delle menti - Pholas Dactylus 0,85

Pollution - Battiato 0,85
23 Confessione - Biglietto per l'Inferno 0,80
24 La porta chiusa - Le Orme 0,76
25 Oro caldo - Osanna 0,75
26 La realtà non esiste - Claudio Rocchi 0,74
27 Per un amico - PFM 0,73
28 La prima goccia bagna il viso - New Trolls 0,71
29 Adagio (Concerto Grosso) - New Trolls 0,62

Sequenze e frequenze - Battiato 0,62
30 Alpha Ralpha Boulevard - I Numi 0,58

Anonimo - Lucio Battisti 0,58

Bambini Innocenti - Officina Meccanica 0,58

C'è troppa guerra - New Trolls 0,58

Consapevolezza - Area 0,58

E' triste il vento - Madrugada 0,58

e mi viene da pensare - banco mutuo soccorso 0,58

Il trionfo dell'egoismo… - Paese dei balocchi 0,58

John - Yuri Camisasca 0,58

L'amico della porta accanto - Ibis 0,58

L'amico suicida - Biglietto per l'Inferno 0,58

Le labbra del tempo - Area 0,58

Le utime parole di Brandimante - Stelle di Schifano 0,58

Man pt.1 & pt.2 - planetarium 0,58

Non sei vissuto mai - Osanna 0,58

Paura del niente - De de lind 0,58

Rising - Spirale 0,53

Song - Living music 0,58

Stalingrado - Stormy Six 0,58

Storia mai scritta - Enzo Capuano 0,58

Unione - Odissea 0,58

Visioni dell'aldilà - The Trip 0,58
31 L'ultima ora - Trip 0,56
32 Aria - Alan Sorrenti 0,53

Vendesi saggezza - Locanda delle fate 0,53

Battiato: pubblicità divani Busnelli (1971)

 

Franco Battiato 1971

 Studente di medicina con la passione della pittura, Gianni Sassi fonda nel 1963 il suo primo studio: l'Al.Sa, Albergoni-Sassi -  rispettivamente art director e copywriter - successivamente trasformatosi in in una vera e propria agenzia di comunicazione. Il suo intento è quello di spaziare,e  colpire l'attenzione in modo inusuale inducendo così alla riflessione. La strutturaè praticamente una sorta di factory warholiana in cui trovano spazio intellettuali e artisti di ogni genere. 

«La nostra firma era non tanto mettere in evidenza le qualità del prodotto, ma utilizzare un gioco che a volte era sofisticato, a volte era violento, a volte era ironico, a volte scherzoso, ma mai di immediata intelligibilità: un esempio è il manifesto del divano Busnelli». [cfr. Albergoni] 

Grazie a un gioco che al contempo maschera e svela, Sassi si serve della semplice pubblicità di un divano per convogliare l'attenzione non solo sul prodotto ma sull'operazione in sé.
Sul divano fa sedere Battiato che indossa un paio di pantaloni a stelle e strisce (prestati da Claudio Rocchi), degli stivaloni neri e una maglia nera e rosa. La faccia è ricoperta con pittura bianca, pastosa, che tende a screpolarsi trasformando il volto in una sorta di maschera

Siamo nel 1971; raccontalo stesso Battiato: «Avevo un gruppo (gli Osage Tribe) e in scena ci dipingevamo la faccia di bianco. Un giorno Gianni mi ha chiesto se poteva farmi delle foto... Ha voluto che mi truccassi come quando salivo sul palco ma, sotto le luci, il make up si è seccato creando delle inquietanti crepe sul viso».
A condire il tutto c'è lo slogan: "Che c'è da guardare? Non avete mai visto un divano?"
I manifesti invadono tutta Milano e l'immagine di quello strano personaggio diventa popolare.

(dal sito www.urlodelsole.it) 

...  Ma lui le aveva detto che avrebbe utilizzato quella foto?

“No. Difatti Busnelli, il padrone dell'azienda di divani, gli tolse la commissione e arrivarono migliaia di lettere di protesta. 

La cosa andò così: Sassi mi disse che voleva fare un servizio fotografico, nel suo stile provocatorio, al gruppo con cui suonavo allora, gli Osage Tribe. Avevo degli orrendi pantaloni con la bandiera americana che mi aveva regalato Claudio Rocchi (grande musicista e cantautore, recentemente scomparso, ndr), degli occhiali, un paio di stivali e in faccia e sulle mani avevo messo del cemento che, sotto i riflettori, iniziò a creparsi. Mi fece sedere su un divano ma io non avevo proprio idea che volesse usare quella foto per fare la campagna pubblicitaria dei divani Busnelli

Fu una campagna massiccia: quella foto era ovunque. Quando la vidi mi arrabbiai, c'era questa foto con la scritta: 'Che c'è da guardare? Non avete mai visto un divano?'. In quel periodo andai a fare la visita militare. Mentre aspettavamo c'era uno che sfogliava una rivista. A un certo punto si ferma alla pagina dove c'era la pubblicità del divano e dice: 'Ma guarda un po' questo trans!'. E io: 'Ma no, è solo un trucco pubblicitario'. Non mi riconobbe nessuno. Non era facile del resto, per fortuna”.

(grazie a Repubblica.it)

Una serata con Francesco Coniglio (1957 - 2023)

Francesco Coniglio
FRANCESCo CONIGLIO - foto: dagospia.com

Francesco ci manca dal 6 luglio 2023, o così ha deciso quel maledetto ictus che se l’è portato via.

Sto parlando naturalmente di Francesco Coniglio, monarca assoluto del fumetto underground italiano, compositore di colonne sonore (per film porno), imponente nel fisico quanto nell’animo, e con qualche piccolo difetto di fabbricazione, come del resto ce l'abbiamo tutti.

I suoi, in particolare, erano due: un controverso rapporto con la contabilità, ma di questo preferirei non parlarne, e un appetito praticamente insaziabile. E non solo per l’impressionante mole di cibo che riusciva ad assumere, quanto per una ghiottoneria congenita che lo portava a cercare sempre ed ovunque i piatti più raffinati. Frank insomma, era un vero gourmet.

Inutile rimarcare quindi, che nel periodo in cui ci siamo frequentati, più o meno quando uscì il mio Gast(r)ocknomìa, parlavamo più di cibo che di musica.
«Ma tu l’hai mai magnato l’uovo più ‘bbono del mondo?», «No, e che roba è?»,
«Poi, senti. Me devi insegnà a fare il risotto alla milanese perché a me proprio 'un me riesce…»

Francesco Coniglio, John N.Martin
IO E FRANK, 2018
E allora giù a spiegargli il concetto dell’“onda”, che sostituisce quello di mescolatura (guardate questo video di Blixa Bargeld ai fornelli, per capire come NON si prepara un risotto); che la presenza del midollo ha un senso, e che la mantecatura si può dare sia all’inizio che alla fine, anzi, secondo me si dovrebbe darle tutte e due.

Usare poi rigorosamente Riso Carnaroli o Vialone Nano (che però si sfalda più rapidamente, quindi non è indicato per grandi quantità), e servirlo aperto su un piatto largo.
Ma la cosa magica è che, mentre parlvo, lui mi osservava attentissimo, non si lasciava sfuggire neanche un dettaglio, quasi come fossi stato Marchesi in persona. 

Chissà se poi ci ha mai provato, a fare quel cazzo di risotto... Spero gli sia riuscito benissimo. Meglio di tutti i miei messi insieme.

Comunque, ciò che ci rese Francesco indimenticabile, fu il massacro di Forte Apache, anzi, dell’Aventino, quando una sera di luglio, invitò me e Marina al Flavio Al Velavevodetto, zona Testaccio, cucina laziale.

Era la prima volta che lo incontravamo, non sapevamo neppure che aspetto avesse, ma la sera prima il nostro amico Franco Brizi, che nel frattempo stava esponendo in uno stand sul Lungotevere, ci aveva garantito che lo avremmo riconosciuto senza problemi. E difatti non ci volle molto. Era una montagna.

Le portate, naturalmente, lasciammo sceglierle a lui (precisando timidamente che di solito noi a cena non mangiavamo “moltissimo”), ma quando, Frank iniziò ad ordinare gli antipasti, capimmo subito che quella sera sarebbe stata un’eccezione.

John N. Martin, Francesco Coniglio, Michele Neri
IO, FRANK e MICHELE NERI, 2019
Due colossali piatti di polpette carne/verdura, (colossali per noi, s’intende) un piatto di fiori di zucchina fritti, squisiti, e praticamente un assaggio di tutti i primi che c’erano (gricia, carbonara, matriciana, cacio e pepe...).  

 Manco a dirlo, Frankie finì di buon gusto quello che noi (per quantità, no per qualità) non eravamo riusciti a mangiare, e poi, ovviamente…
   «... e di secondo che se magna?».
«Di secondo???» «Frank scusa... ti va di fare una pausa?».

Credo sarebbe stato criminale, nonché offensivo fermarsi al primo. L’unico problema che, se lui aveva ancora una fame boia, noi eravamo già sazi. Ma ad un certo punto chissenefrega. Non ne capitano tante di serate così. 

Ottima cucina, ottima compagnia, e dopo la faidica mezz’oretta ci gustammo un’insalata mista con pomodorini (Marina) un involtino al sugo (io, era una cosa spaziale), e credo una trippa alla romana (lui).  
Caffè, ammazzacaffè, e ci lasciammo nella magica notte romana che, in quel particolare periodo dell’anno, è davvero incomparabile.

E questo è il mio ricordo di Francesco Coniglio. Persona di grande sensibilità umana e intellettuale, curiosa, intraprendente, ma la cui temperie forse gli impedì di limitarsi in certe situazioni, e di gestirne altre.

«Uno dei personaggi più divisivi dell’editoria italiana. O lo amavi o lo odiavi.», mi disse una volta un amico, e credo avesse ragione.

Io, almeno, non ho avuto tempo di odiarlo.

Buon viaggio Frank.

Lydia e gli Hellua Xenium: Diluvio / Conoscevo un uomo (1974)

Lydia Hellua Xenium Diluvio Conoscevo un uomo
Molto si è detto sui Lydia e gli Hellua Xenium. Sul loro operato circolano più leggende che realtà e, in particolar modo, sul loro secondo 45 giri “Diluvio / Conoscevo un uomo”. Tanto che, sino a non molto tempo fa, qualcuno ne metteva in dubbio persino l'esistenza.
Invece esiste eccome,  è il più raro singolo in assoluto di un gruppo Prog italiano ed annovera due brani davvero particolari per il loro tempo storico. 

Siamo nel 1974, e il 45 giri in oggetto dava seguito al primo singolo dei L&HX “Invocazione/ Guai a voi” pubblicato l’anno prima, e riconfermava quello stile gotico che aveva caratterizzato il gruppo sin dagli esordi. 
 
La discografica era la Radio Records e il suo numero di catalogo RRS 1063. Venne edito da tale  Dott. Gallazzi ed ebbe come artefici l’autore Rinaldo “Complex” Prandoni e il compositore Fernando Lattuada, entrambi della zona di Busto Arsizio in provincia di Varese. 

Dalle prime ventiquattro misure “Diluvio” (originalmente composta e depositata in Siae nel 1972) non rivela la propria identità. Nelle prime sedici c’è solo un flauto che espone il tema portante e fin qui l’atmosfera è quasi bucolica, rilassata. Nelle otto successive, si intromettono poi le chitarre di Piero Giavini
A quel punto però, e sono passati trenta secondi dall’inizio del brano, qualcosa cattura la mente dell’ascoltatore: il riff iniziale si ferma di colpo e rimane sospeso nel nulla. Qualche secondo di silenzio e succede il finimondo

Lydia e gli Hellua XeniumGli Hellua Xenium prorompono violentemente in un doom rock pesante, massiccio e tempestato da chitarre distorte, organo impazzito, batteria centrifugata e nientemeno che delle folate di vento e dei tuoni sintetizzati dalla violenza inaudita. 
Entra poi la voce di Lydia (o meglio: pensiamo sia la sua, visto che nel disco precedente il cantato era di Giavini), gotica, imponente, severa che si fa sempre più acuta. I cori in falsetto che rafforzano la fine della strofa sembrano provenire dall’aldilà e l'impatto è davvero straordinario. 

Il brano è breve, tre minuti e venti secondi, e tra le due esposizioni di strofa e ritornello ci sono solo due breaks strumentali di cui il primo è carattere sospensivo e l’altro è invece è un rock progressivo che chiude in dissolvenza la facciata A. 

I testi di Rinaldo “Complex” Prandoni sono apocalittici, probabilmente ispirati al diluvio universale. Traspare si un sentimento religioso, ma non è quello evocato dalle messe beat degli anni 60: è di una spiritualità più polimorfa e sicuramente più adeguata alla complessità di quel 1974 in cui tutti i gruppi d’avanguardia pescavano a piene mani da ogni stile possibile.
 Complex, tra l’altro, non sapeva esattamente come sarebbero stati utilizzati i suoi testi. Pare infatti che Lattuada gli chiedesse semplicemente dei versi da adattare a una musica heavy, confidando sulla sua capacità evocativa e sulla sua esperienza. 
 
Un sistema certamente originale di comporre, ma che ha fornito linfa vitale a uno dei gruppi Prog più disallineati degli anni 70 e per questo ancora oggi venerato, misterioso e soprattutto ricercatissimo. 

Diversa è invece “Conoscevo un uomo”. Dopo una fulminea citazione alla Fuga in Re minore di Bach, arriva subito il canto melodico e profondo di Lydia che però, pur nella sua consueta fluidità, questa volta è più ammiccante, se così si può dire. 

Non ci sono più tuoni ipermodulati e atmosfere grezze, ma un feeling quasi sereno che conduce l’ascoltatore in atmosfere rassicuranti ma, anche in questo caso, c’è la sorpresa
 
Un improvviso cambio di metrica da quattro a tre quarti lancia un inciso strano e coinvolgente che pare una valse musette e profuma di bistrot parigini dei primi del secolo: un semplice “la-la-la” ripetuto ossessivamente a mo’ di giostra quasi a voler esorcizzare il senso stesso della vita in poco meno di due minuti e mezzo. Un piccolo gioiello insomma che difficilmente non resta memorizzato nella testa dell’ascoltatore.

 Evidentemente però, in pochi ebbero il privilegio di lasciarsi trasportare da quel tempo di valzer: il disco venne stampato in pochissime copie in edizione juke box al punto di avere oggi quotazioni vertiginose, non abbe promozione alcuna, e la band originale si sciolse poco dopo. 
Il chitarrista Giavini confluì negli Skorpio e la nostra storia termina qui.

UN GRAZIE DI CUORE AL MAESTRO RINALDO PRANDONI

GUARDA LO SPARTITO ORIGINALE DI DILUVIO

Enzo Jannacci: "Il monumento" (1975)

jannacci il monumento
Il nemico non è oltre la tua frontiera.
Il nemico non è al di là della tua trincea. 

Il nemico è qui tra noi,
mangia come noi, parla come noi, dorme come noi, pensa come noi,
ma è diverso da noi 

Il nemico è chi sfrutta il lavoro e la vita del suo fratello.
Il nemico è chi ruba il pane e la fatica del suo compagno.

Il nemico è colui che vuole il monumento per le vittime da lui volute  

e ruba il pane per fare altri cannoni.

E non fa le scuole 

e non fa gli ospedali 

per pagare i generali

Per un'altra guerra.

 

enzo jannacci il monumento

Napoli Centrale: Napoli centrale (1975)


napoli centrale 1975 pino danieleSiamo nel 1975 e il Rock Progressivo Italiano si sta rapidamente trasformando.
Sin dall'anno precedente infatti, molte bands della prima ora si erano sciolte o riconvertite sotto i colpi di una stridente situazione politico-economica che chiedeva a tutti gli artisti un maggior impegno sociale.

In più, i cantautori stavano conquistandosi lo scettro della comunicatività, e per molte bands era subentrato l'obbligo di interagire diversamente con gli ascoltatori: sia nel linguaggio, sia nello stile.

I risultati non si fecero attendere (Città Frontale, Bardi, Cattaneo, Capuano, Ultima Spiaggia) ma, se da un lato il Pop italiano acquisì una maggiore consapevolezza, dall'altro perse definitivamente i suoi connotati originali per entrare in una nuova stagione.


Che piova o che esca il sole, chi è bracciante a San Nicola / con la bottiglia piena di vino / va tutti i giorni a zappare. Campagna ... com'è bella la campagna…
...ma è più bella per il figlio del padrone della terra / che ci viene ogni giorno / a divertirsi con gli amici…
Campagna ... com'è bella la campagna…
 napoli centrale_2Con queste parole iniziava il primo disco omonimo dei Napoli Centrale e chi lo ascoltò all'epoca, capì subito che si trattava di un lavoro rivoluzionario in cui il Prog c'entrava solo marginalmente: testi di forte denuncia sociale, un potente groove jazz rock in cui il sax sostituiva la chitarra solista, prevalenza del piano Fender sulle tastiere, pochi arzigogoli, una sanguigna anima popolare e uno spietato canto in lingua Napoletana che non solo calzava perfettamente al contesto narrativo, ma assurgeva al ruolo di un vero e proprio strumento musicale.

Anticipato dal vendutissimo singolo "Campagna", l'album includeva sei brani di cue due strumentali, estremamente omogenei e tutti coesi dal medesimo spirito di denuncia. Tra tutte, la dilaniante "Gente a' Bucciano".

"Lassù al Nord c'è gente che viene da Bucciano / là dove una volta zappava la terra sputando sangue e salute. /
Ma la fame è più forte dell'amore per la terra / e la gente di Bucciano ha dovuto emigrare al Nord per lavorare nelle fabbriche. /
Là sputa lo stesso sangue e salute e in più, / si sente fottuta.

 napoli centrale_3E' un linguaggio diretto, quasi cantautorale, degno della penna di un Finardi o di un Bennato, ma reso ancor più affascinante da un sound forte e asciutto che riusciva a restituire problematiche e sensazioni nella più diretta e comprensibile delle maniere : il dramma dell'emigrazione ("Gente e' Bucciano"), i quadri urbani di "Vico Primo Parise n°8", la mestizia di una società alla deriva ("Viecchie, mugliere, muorte e criaturi") e una feroce satira del potere ("O lupo s'ha mangiato a' pecurella").

napoli centrale_4Musicalmente, i fiati e la voce di James Senese si alternano su un tappeto elettrico intessuto dal Rhodes di Mark Harris, su cui il bassista Tony Walmsley e il batterista Franco del Prete modellano una complessa struttura ritmica, pur senza risultare mai invasivi.

Il Prog non lo si riscontra quasi più: solo in certe sfumature probabilmente sopravvissuti nel Dna di Harris e di Senese, o comunque dall'appartenenza alla città di Napoli, che ne fu una delle culle più importanti.
L'evaporazione dei vecchi canoni però, era evidente nel dominio di un linguaggio sonoro che dal '75 in poi, avrebbe contraddistinto tutto il nuovo Pop italiano.
"Napoli Centrale" fu insomma uno degli album seminali della seconda generazione del Prog, esattamente come lo fu  Palepoli per la prima.

LA FOTO CHE RITRAE I NAPOLI CENTRALE DAL VIVO NEL 1975 E' TRATTA DAL SITO WWW.MARKHARRIS.IT